Chi oggi sceglie un corso per educatori cinofili si confronta spesso con questa frattura storica. Non basta più imparare tecniche: serve comprendere il contesto culturale in cui la relazione uomo-cane si è evoluta. Nei secoli passati, il cane era compagno di vita e di lavoro. Faceva la guardia, accompagnava alla caccia, proteggeva il bestiame. Era inserito in un equilibrio concreto e simbolico, riconosciuto per le sue attitudini e valorizzato nel suo ruolo.
Oggi, chi intraprende un corso per diventare educatore cinofilo deve anche domandarsi: che ruolo ha il cane in una società iperurbanizzata, digitale, dove spesso la relazione è compressa tra tempi stretti e spazi ridotti? È ancora possibile costruire un dialogo autentico tra le specie?
Nel mondo occidentale contemporaneo, il cane è diventato una presenza quasi ovvia nelle nostre case. È considerato “parte della famiglia”, ma troppo spesso viene ridotto a proiezione dei nostri bisogni. Non sempre si tiene conto della sua soggettività, delle sue motivazioni, dei suoi codici comunicativi. Lo si vuole adattabile, educato, gestibile. Ma la relazione, quella vera, nasce dall’ascolto, non dal controllo.
Per questo motivo, un corso per educatori cinofili che voglia essere davvero formativo non può limitarsi a trasmettere nozioni tecniche. Deve offrire strumenti culturali e filosofici, capaci di aprire uno sguardo più ampio sul concetto stesso di educazione, relazione e convivenza interspecifica.
Diventare educatore cinofilo oggi significa assumersi la responsabilità di rimettere al centro il dialogo con l’altro da sé. E per farlo serve una formazione che non si limiti a “insegnare ad addestrare”, ma che educhi alla complessità della comunicazione tra specie, alla storia della coevoluzione, alla capacità di osservare senza giudicare.
Il cane non è solo un compagno di vita moderno: è un testimone silenzioso della nostra evoluzione. I primi canidi selvatici che iniziarono ad avvicinarsi agli insediamenti umani lo fecero per necessità di sopravvivenza, ma quella vicinanza divenne, col tempo, un’alleanza. L’essere umano ha beneficiato delle capacità percettive e sociali del cane per organizzare la vita agricola e pastorale, e il cane ha trovato negli scarti umani risorse e protezione. È in questa storia di reciprocità che affondano le radici della nostra relazione.
Nel tempo, però, questa relazione si è trasformata. In molte civiltà moderne, il cane è diventato un animale da possedere, da addestrare, da gestire. La domesticazione ha portato con sé un processo di standardizzazione e, spesso, di allontanamento dalla sua natura. In alcune società, la relazione si è ridotta a una forma di convivenza basata più su necessità umane che su un reale dialogo tra specie.
Nel nostro corso per diventare istruttore cinofilo, affrontiamo proprio questo nodo. Qual è il confine tra educare e addomesticare? Come possiamo rispettare la soggettività del cane senza perdere di vista le esigenze della convivenza? Cosa significa, oggi, costruire una relazione fondata sul riconoscimento dell’altro e non sulla sua sottomissione?
Riflettere su queste domande è il primo passo per formare educatori e istruttori cinofili consapevoli. Non tecnici dell’addestramento, ma figure culturali capaci di ricostruire ponti tra le specie, nel rispetto delle differenze e nella valorizzazione delle affinità.